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Sulla sinistra, dall'alto:

le fonderie dell'Arsenale di Torino, fabbrica di cannoni inaugurata nel 1856;

progetto del 1904 per l'installazione di un forno a sistema Siemens presso la Ditta Giovanni Andrea Gregorini di Lovere (Bergamo);

disegno del grande maglio di Terni e della struttura metallica del capannone completato nell'anno 1886;

il maglio ad acqua della fabbrica di chiodi Bernardelli di Gardone Val Trompia (Brescia) in un'immagine datata 1895.
La grande pressa idraulica da 12.000 tonnellate in funzione dagli anni Venti presso le Acciaierie di Terni.
La lavorazione del ferro vantava in Italia antiche tradizioni, specie nelle valli alpine, ma agli esordi dell'industrializzazione apparvero evidenti due carenze di fondo, mancavano infatti sia la materia prima che le competenze tecniche richieste dalla moderna siderurgia.
Dopo l'Unità (1861), i soli impianti tecnologicamente aggiornati erano quelli di Dongo e di Lecco, appartenenti alle imprese Rubini e Badoni, che avevano come consulente l'alsaziano Giorgio Enrico Falck (1802-1885), e l'impianto di Castro (Bergamo), appartenente a Giovanni Gregorini.
Nel 1884 venne fondato a Terni il grande opificio siderurgico della Società Altiforni
Fonderie ed Acciaierie, ideato da Vincenzo Stefano Breda (1825-1903), con l'obiettivo di fornire allo stato l'acciaio per l'industria bellica, in particolare per le corazze delle navi da guerra.Sin dal 1871 Breda aveva proposto di trasformare la cittadina umbra, lontana dal mare e dalle frontiere, in una "città di ferro, acciaio e lignite, animata dalla forza di 6.000 cavalli idraulici". La produzione di acciaio in Italia, per la mancanza di carbone, era particolarmente costosa, ma, oltre alle esigenze belliche, si impose l'aspirazione a sollevare la siderurgia italiana dalla sua cronica
         condizione di arretratezza.